Ma, si dirà, un Latino così lineare,
così esile, così inornato, come quello usato in questi incontri di latinisti
vivi, non sarà piuttosto una specie di Latino
maccheronico?
Qui occorre avere le idee chiare. Il
Latino maccheronico (sia quello di raffinata fattura, come, ad esempio, quello
di Teofilo Folengo, dagli esametri metricamente perfetti del Baldus, sia
quello popolaresco, tipo
cur, quare, quia, fuerunt la rovina mia -
cur, quia , quare, fecerunt me arare -
quia, quare cur, fecerunt me sonare tambur)
è un'allegra e folle mistura di Latino classico e di termini tolti dall'italiano e dai dialetti e umoristicamente latinizzati: si veda, ad esempio, dal Baldus:
Quo fugis? Unde venis? Quis facit te ire galoppum? (111, 382)Il Latino maccheronico nasce dunque da un'esigenza puramente comica, con un preciso fine umoristico. Profondamente diverso è invece il Latino di noi latinisti vivi, che, come ho già osservato, si impone un rigoroso rispetto delle strutture morfologiche e sintattiche del Latino classico e che, in luogo del labirintico e raffinato ordo verborum degli Autori classici, si propone una struttura lineare e spontanea, quale la mentalità cartesiana di oggi richiede.0 macaro, macaro, quae te mattezza piavit? (IV, 285)
Exspectant pivae danzam quis chiamet un'altram (VII, 228)
Facilis cosa est descendere bassum,
sed tornare dretum, bracas bagnare bisognat (XXII, 54-55)
C'è tuttavia un grosso ostacolo che
sembra porsi di traverso contro l'attuazione di un semplice e accessibile Latino
colloquiale, che possa porsi come linguaggio di comunicazione
europea.
Come potrà essere espresso in Latino tutto
lo sterminato numero di realtà nuove che tecnologia, evoluzione spirituale ed
evoluzione civile hanno offerto alla società di oggi, di cui quindi mancano gli
equivalenti Latini?
Rispondo che una cospicua parte
di questi neologismi, di cui si sono arricchiti i nostri linguaggi moderni, è
composta di termini Latini e greci, termini che, ripresa, quando occorra, la
loro ortografia classica, sono già pronti per essere immessi nella corrente del
Latino vivo.
Eccone, come esempio, un
gruppetto:
Helicopterum, hydròvora, telescopium,
neoplasma, electromagneticus, televisio, isotopus, photogramma ... Ridare vita a
questa innumerevole schiera di termini greco-latini, inserendoli nel nostro
Latino vivo, non è che dare a Cesare ciò che è di
Cesare.
E poi, una pattuglia di squisiti latinisti,
dotati non solo di profonda preparazione linguistica, ma pure di genialità
creativa e di una specie di sesto senso Latino, hanno, da ormai cinquant'anni a
questa parte, compiuto (e stanno tuttora compiendo), applicando con
vigile attenzione le leggi di derivazione, l'analogia e basandosi
sull'evoluzione semantica, un imponente e originalissimo lavoro, sì da rendere
il Latino vivo capace di esprimere ogni realtà odierna. Il loro lavoro non è
molto diverso da quello dei Comitati tecnicolinguistici, che ogni grande azienda
ha, oggi, per battezzare in linguaggio moderno tutte le novità, soprattutto
tecniche, della loro produzione.
Ecco una breve
scelta di questi neologismi:
l'automobile = autocinetumLegge fondamentale di questi neologismi plasmati dai neolatinisti è che siano «translucidi», cioè immediatamente interpretabili e insieme siano di buon sapore Latino. Chi voglia avere un'idea dettagliata della questione dei neologismi, può sfogliare il Nuovo Vocabolario della lingua Latina, di J. Mir e C. Calvano (Mondadori, 1986) o anche il Lexicon recentis Latinitatis, 2 voll. (Editrice Vaticana, 1992) o anche prendere in mano qualcuna delle Riviste di Latino vivo (non ho ancora detto che il fervido moto per la rinascita dei Latino vivo è affiancato, già da qualche anno, da Riviste quali Vox Latina (tedesca), Latinitas (vaticana), Melissa (belga), gli articoli delle quali sono una sorprendente dimostrazione di come qualunque argomento, sia di vita antica, sia di attualità, possa essere oggi espresso in un linguaggio limpidamente accessibile ad ogni Europeo, che sia stato iniziato alla lingua Latina.
musicassetta = phonocapsella
grissini = panicilli
nave rompighiaccio = navis glacifraga
sciopero = operistitium (per analogia a solstitium)
carrozza ferroviaria = carruca ferriviaria
i crakers = quadrulae
i fumetti = nubeculati libelli
la biro = calamus sphaerulatus
le tagliatelle = segmentulae
la roulotte = domuncula vectabilis
il mitra = manuballista
telegiornale = telediurnum
calcolatore = computatrum
la guida dei Touring = libellus periegeticus
un pallone imparabile = follis imprensabilis...
Proviamo ora a riallacciarci al punto
di partenza.
Lo storico prof. Jacques Le Goff
sostiene che, per dare unità culturale all'Europa, occorra anzitutto ampliare
nelle scuole europee lo studio delle principali lingue di
Europa.
Chi venga, come me, dal mondo della scuola,
sa però bene quanto sia arduo aggiungere nuove ore ai programmi attuali, o
mutarne, anche solo in parte, la struttura.
È
certamente vero che ogni grande lingua europea è un formidabile veicolo di
cultura, e ben venga uno studio almeno più accurato, se non più ampio, delle
lingue nei vari ordini di scuole europei, ma qui mi pare che il problema non
sia tanto conoscere molte lingue per accedere ai mirabili tesori culturali
europei, quanto di avere, tutti, tra le mani, una lingua che ci permetta di
intenderci con semplice chiarezza tra noi, abitanti di Europa, una lucida
lingua veicolare, che, oltre a servire negli incontri e nelle conversazioni,
permetta un'immediata semplificazione delle strutture (durante i Congressi e di
stesura dei vari decreti approvati.
Che il Latino
colloquiale, o neolatino, come ormai comincia ad essere chiamato, Latino dalla
piana struttura e arricchito dei necessari neologismi, possa davvero fungere da
lingua comune per l'Europa, lo dimostrano alcune recenti
esperienze.
Dal 9 al 14 Settembre 1985, si tenne a
Coimbra il VII Congresso do Grupo de Matematicos de expressao Latina, alla
presenza di studiosi portoghesi, spagnoli, italiani, francesi, rumeni,
dell'America Latina e del Giappone. Il prof Rodolfo Salvi, docente al
Politecnico di Milano (e mio ottimo amico), tenne una relazione «sull'esistenza
di soluzioni deboli periodiche circa le equazioni di
Navier-Stokes».
Alla relazione, fece precedere
questa breve nota, preparata con me e letta scandendo le parole con lentezza e
precisione: «Ego exponam meam demonstrationem lingua Latina, utique lingua
latina planissima et crystàllina. Ego enim pro certo habeo linguam Latinam posse
esse optimum et liquidum instrumentum communicationis inter omnes viros doctos
non modo Europae, sed etiam exterarum nationum. At una condicione, ut sit non
l i t t e r a r i a,
id est non sit implicata et architectonica ut fuit lingua exquisita Auctorum
Latinorum, sed sit
c o l l o q u i a l i s,
c a r t e s i a n a,
id est praedita dispositione recta et subitanea intelligibilitate. Debet enim
sequi morem saeculi vicesimi; quod est saeculum evidentiae et velocitatis,
saeculum quod hoc tantummodo postulat a scribentibus et a loquentibus ut sint
illico et penitus intelligibiles.
Il prof. Salvi
mi riferì personalmente di essere stato ascoltato con molto interesse e che, nel
dibattito che seguì, ad eccezione dei Francesi, i presenti giudicarono l'uso del
Latino colloquiale una novità molto stimolante e di notevole utilità nei
congressi scientifici.
Chi legga il n. 24 di Melissa
(la Rivista neolatina belga, cui ho già accennato - Editrice in Avenue de
Tarvueren, 76 - 1040 Bruxelles), troverà la relazione del viaggio compiuto dal
prof. Thomas Pèkkanen, dell'Università finnica di Helsinki, la cui recentissima
traduzione in Latino del poema nazionale Kalèvala, è stata da lui
personalmente presentata nel marzo dell'anno scorso, con un'orazione in limpido
Latino colloquiale, a Bruxelles a un folto uditorio, nella Sede della Comunità
europea.
Partito in aereo da Helsinki, atterra a
Milano, ove incontra i componenti della Sodalitas Latina mediolanensis, poi
scende a Firenze, ove è accolto nel Circolo Latino fiorentino, indi ad Arezzo,
ove tiene all'Università una conferenza sul Kalèvala
Latino.
Qualche giorno dopo, all'aeroporto di
Budapest, è accolto da professori ungheresi e tiene all'Università un discorso
riguardante i problemi postigli dalla traduzione Latina dei Kalèvala, a
cui è seguito un animato dibattito. Il giorno dopo, nella città di Debrecen, ha
luogo un secondo incontro presso il Seminario di Latino nell'Università L.
Kossuth, alla presenza di un folto gruppo di professori. Di nuovo, dopo le
orazioni ufficiali, si svolge una vivace
discussione.
Orbene, in tutti questi incontri in
Italia e in Ungheria, il linguaggio che ha permesso a questi Europei di nazioni
diverse di salutarsi, di intendersi tra loro, di discutere, è stato il Latino
vivo colloquiale.
Il dottor Rosario Casalone, ricercatore
in genetica presso l'Università di Pavia, ricevette, il 29/IX/1987, il seguente
biglietto, inviatogli dal prof. B. B. Wittwer, dell'Istituto di genetica di
Magdeburgo (Rep. Dem. Ted.): «Humanissime collega, pergratum mihi feceris si
exemplar tui recentis libri mihi miseris. Reverenter summas gratias agens et
salutem tibi plurimam dicens, Wittwer».
Ecco la
limpida risposta del dottor Casalone: «Docte et humanissime collega, libenter
libi mittam meam opellam, quam rogas, sperans eam tibi fore utilem. Laetor quod
adhibueris linguam Latinam, quae optime esse potest instrumentum communicationis
inter doctos variarum nationum. Spero fieri posse ut aliquando vel in Italia vel
in Gemiania, invicem cognoscamus et coniungamus gratam amicitiam.
Casalone».
Se posso richiamarmi ad una mia esperienza, nelle Ferie Latine del 1982, tenutesi in Carinzia, a St. Georgen am Längsee, potei conversare e discutere per un'intera settimana con un giovane professore svedese, Ioannes Persson de Malmogia, nel nostro nitido Latino colloquiale: un nordico e un mediterraneo, che con le loro lingue patrie non avrebbero neppure saputo salutarsi, poterono così fraternamente parlarsi e perfettamente intendersi.
Vorrei tornare un momento ad una delle
frasi succitate dello storico Le Goff: «L'Europa può inventare il nuovo, anche
per intendersi, per parlarsi. Ma deve basarsi sulla propria eredità.» È proprio
quello che ci proponiamo noi, Latinisti vivi: diffondere in Europa un Latino che
nasca da un geniale impasto di antico e di moderno, un Latino che da un lato ci
allacci alla poderosa sorgiva culturale Romana, dall'altro ci renda idonei ad
esprimere, in questo linguaggio mescolato di passato e di presente, ogni realtà
moderna.
Certamente la conoscenza delle grandi
lingue europee ci permette di attingere agli splendidi tesori culturali delle
singole nazioni, ma possedere un linguaggio comune sovrannazionale, col quale
potersi comprendere sia nei congressi europei, sia nei contatti con Europei di
nazioni con lingue meno diffuse, col quale poter redigere articoli e contributi
culturali che siano immediatamente accessibili ad ogni abitante colto d'Europa,
è certo un esaltante obbiettivo per ogni Europeo a cui stia a cuore l'unità non
solo mercantile, ma soprattutto culturale,
dell'Europa.
Bisogna però subito notare che tutto
questo fervore di iniziative, che sorgono un poco dovunque in Europa, a favore
del Latino vivo, restano inadeguate se noi, suoi fautori, non ci proponiamo un
importante e coraggioso obbiettivo:
p e n e t r a r e
n e l l e
s c u o l e.
Il Latino ha
la fortuna di essere insegnato, e insegnato bene, in buona parte delle scuole
d'Europa (e c'è da sperare che i politici italiani si accorgano presto dl
delitto di lesa cultura, perpetrato togliendo il Latino dalle Medie, contro il
sacrosanto diritto degli studenti italiani di essere iniziati a una delle più
splendide fonti di cultura e di arte, e si sappiano muovere per reintrodurvelo),
ma è ormai tempo che, con un vigoroso colpo di timone, si passi
dall'insegnamento tradizionale, troppo astratto e troppo legato ai modelli
letterari, a un insegnamento del Latino trattato come una lingua
viva.
Questo implica che fin dalla prima lezione, il
professore sappia accortamente mescolare lingua patria e lingua Latina, sì che
gli studenti odano finalmente parlare Latino e vengano pian piano iniziati a
questa nuova eccitante esperienza. Ed è notevole quanto presto il professore (ne
parlo con cognizione di causa), si senta, con segreta commozione, divenire un
concivis Romanus, capace in breve tempo di esprimere, in un lucido e
semplice Latino, le sue idee; non parlo degli studenti, a cui non par vero di
divenire a poco a poco degli autentici adulescentuli
Romani!
E vorrei notare ai colleghi, a cui
l'insegnamento del Latino in Latino appaia piuttosto complesso e audace,
che noi, professori di Latino, siamo, a ben guardare, degli autentici lessici
Latini viventi, tale è il cumulo di vocaboli e di costrutti Latini che
conosciamo; tutta però questa imponente massa lessicale giace nelle nostre menti
come assopita, confusamente mescolata insieme, priva quindi di quella rapida
«velocità di comparizione» dinanzi alla mente e di qui alla bocca. È solo
necessario un rapido e geniale esercizio (at de hoc alias) per destarla e per,
diciamo così, sdipanarla, sì da poterla padroneggiare con crescente velocità e
sicurezza.
E dunque (mi rivolgo specialmente ai
giovani colleghi) lasciatevi attrarre dal fascino del Latino vivo, e soprattutto
trasfondetelo, questo fascino, negli studenti. L'uso del semplice e lucido
Latino vivo servirà loro di efficacissima propedeutica per avvicinarsi, in un
secondo tempo, ai Classici Latini, che sembreranno loro non più astrusi e
lontanissimi Autori, ma concittadini di un'unica grande respublica
Latina.
E se prende piede, nelle scuole
d'Europa, l'insegnamento del Latino come lingua viva, sarà posto un solido
fondamento per raggiungere il grande obbiettivo di offrire all'Europa una lingua
comune, che affratelli tutti i suoi figli, ne semplifichi i rapporti e insieme
li renda idonei a riappropriarsi e a riapprofondire il grande retaggio Romano e
Cristiano.
Forse a qualche lettore piacerà leggere
qui un limpido brano Latino colloquiale.
Ecco la
relazione di un derby Iuventus - Torino.
Hodie est Dominica extraordinaria:
magna pars Taurinensium relinquit domum et cetera negotia et affluit ad stadium:
duae enim turmae (squadre) eiusdem urbis certabunt inter se maxima
alacritate.
Cum arbiter emittit sibilum initii,
omnes graidus amplissimi stadii sunt iam referti «typhosis», qui emittunt
dìssonum boatum, agitantes vexilla et sonantes
corniculas.
Per primum quartum horae, lusores (i
giocatori) procedunt velocissimi (sunt enim omnes vegeti viribus) et
follis (il pallone) vel radit terram vel volat, propulsus modo ad unam
aream portariam, modo ad alteram.
Et ecce, fere
transacta media hora lusus acris ac prementis, ala sinistra iuventina captat
follem, quem ei perite (abilmente) direxit medianus, evìtat duos
defensores taurinianos, offert follem eleganti ictu tali (colpo di tacco)
occurrenti medialae dexterae, quae rapido ac vehementi ictu pròicit follem in
angulum portae, dum ianitor, etsi citissime insiliens, non valet nisi eum
praestringere (sfiorare) digitis.
Tònitrus
ingens rèboat per stadium, dum auctor retis, currens huc illuc velut amens et
pluriens iactans per aera brachia, vicissim ab uno et ab altero lusore iuventino
cingitur brachiis et fervide basiatur, quasi peregisset gestum
heroicum.
Lusus iterum inchoatur, et dum iuventini
nituntur praesertim defendere portam, et tantummodo raro irrumpunt in aream
adversariorum velocibus incursionibus, athletae taurinarii pergunt
(continuano) rabida alacritate premere indefatigati contra rete
adversariorum, trahentes secum etiam proprios defensores, ita ut saepe dimidium
stadium maneat desertum et unicus conspiciatur, deambulans placide inter palos
portae, manitor taurunianus.
At integer globus
iuventinus intentissime vigilat et rumpit quàmlibet (qualsiasi) actionem
adversariorum qui, licet crescenti impetu conentur, astutis traiectibus
(passaggi) apparare occasionem reti, semper, veluti undae quae franguntur
contra scopulos, frenantur et assidua tenacia repelluntur
retro.
Et ecce sibilus arbitri: prius tempus
certaminis est transactum; athletae relinquunt stadium et Iuventini cursu,
Tauriniani contra tardis passibus, recedunt in
spoliarium.
Initium secundi temporis: refecti
(ristorati) intervallo, athletae incipiunt velocem lusum, conantes Tauriniani
Assequi paritatem, Iuventini autem, etsi non intermittentes cautam et ferream
vigilantiam suae portae, parati ad fruendam quamlibet occasionem ut augeant
numerum retium.
At improviso, medius aggressor
taurinianus, potitus (impadronitosi) folli, ingreditur in aream «rigoris»
et callida simulatione (finta) se èxpedit a mediano sinistro iuventino,
qui conatus erat eum cohibere, sed in ipso momento quo se àpparat ad proiciendum
follem in rete, ab accurrente defensore iuventino deicitur humi (è fatto
cadere) apertissima supplantatione (sgambetto). Sibilat arbiter: calx
rigoris.
Super totum stadium cadit repente ingens
silentium, et dum athletae se glomerant taciti extra aream rigoris, taurinianus
«rigorista» (ita appellatur athleta qui excellit peritia proiciendi follem in
rete adversariorum) deponit follem in circulo, circumscripto lineola alba, inde
retrocedit lente aliquot passus, postea velocitate crescenti irruit in follem
et, simulata declinatione corporis in partem sinistram, eum impingit ictu
veliementi in angulum dextrum. G o a L !! Unum contra
unum!!!
Exoritur a typhosis taurinianis immanis
boatus, dum incipiunt agitari phrenetice vexilla et explodi capsulae
pyricae.
Ergo certamen redit ad paritatem! Dum autem
in cavea stadii tumultus pergit effrenatus, athletae redintegrant festinanter
lusum, incitati novo impetu et alacritate Tauriniani, impulsi acriore fervore
Iuventini.
At dum follis transit velociter ab uno ad
alterum lusorem et dum premitur et obsidetur modo una, modo altera porta,
intentissima vigilantia defensorum impedit quòminus follis possit pròici in
rete.
Et iam propinquat finis secundi temporis, cum
follis impingitur incaute a lusore taurinensi ultra lineam extremam stadii,
ideoque decernitur calx anguli pro Iuventinis.
Volat
follis, apte impulsus ab ala sinistra et inclinatur in proximitate portae, ubi
densantur athletae utriusque turmae; inter ceteros, agili saltu emergit medianus
iuventinus, qui vehementi et callido ictu capitis percutit follem eumque
impingit «imprensabilem» (imparabile) in superiorem angulum dextrum
portae: g o a l !
Hac vice, totum stadium explodere
videtur: clamant insanientes laetitia thyphosi iuventini, se invicem
complectentes (abbracciandosi) et quassantes sua vexilla et vexillula,
dum contra una pars typhosorum taurinianorum rumpit in exsecrationes et
blasphemias, altera vero, quasi percussa fulmine, assidit muta in gradibus,
velut si eos perculisset extrema calamitas.
Et ecce,
post pauca minuta, sibilus finis.
Omnes athletae
repente consistunt, inde contendunt ad spoliarium, dum interea thyphosi
iuventini, gestientes irrefrenabili gaudio, invadunt pacifice stadium atque
turmatim iactant ad aerem vexilla et elatis vocibus celebrant victoriam turmae
cordis.